''La Fase 2 rinvia la riapertura degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e di tante attività del turismo e dei servizi. Ogni giorno di chiusura in più produce danni gravissimi e mette a rischio imprese e lavoro". Così il Presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, commenta le disposizioni annunciate dal Presidente del Consiglio relativer al DPCM 26 aprile 2020 (scaricabile dal link a fondo pagina).
"In queste condizioni - sottolinea - diventa vitale il sostegno finanziario alle aziende con indennizzi a fondo perduto che per adesso non sono ancora stati decisi. Bisogna invece agire subito e in sicurezza per evitare il collasso economico di migliaia di imprese".
Bertin (Presidente Confcommercio Veneto): “Riaprire le attività subito e in sicurezza. E riconoscere contributi a fondo perduto alle imprese”.
Dopo le comunicazioni di domenica sera del presidente del Consiglio Giuseppe Conte sulla Fase 2 della pandemia da Covid-19, il presidente di Confcommercio Veneto Patrizio Bertin ha riunito urgentemente in videoconferenza il Consiglio dell’Unione regionale dell’Associazione di categoria per fare il punto della situazione.
A nome di tutti componenti, il presidente Bertin esprime la preoccupazione per il protrarsi ulteriore della chiusura degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e delle attività nel campo del turismo e dei servizi. “Dopo due mesi di lockdown non si può indugiare oltre – spiega Bertin – Come sottolinea il presidente Sangalli ogni giorno di chiusura in più significa produrre danni gravissimi e mettere a rischio imprese e lavoro. È urgente aprire subito e in sicurezza. Ricordo, a quest’ultimo proposito, che sono già stati sottoscritti dei protocolli che definiscono misure precise con elementi specifici per ciascun settore di attività, a garanzia della salute dei lavoratori e dei clienti”.
Il presidente Bertin si fa, inoltre, portavoce della richiesta accorata degli imprenditori di ricevere aiuti per riuscire a fronteggiare l’impatto della grave crisi e per poter ripartire con l’attività.
“Servono subito indennizzi e contributi a fondo perduto, consistenti e capillarmente distribuiti – sottolinea Bertin – Le attività sono chiuse da mesi, non producono fatturato, ma nel contempo continuano a dover pagare affitti e spese vive. Col procrastinarsi della chiusura si rischia il definitivo colpo di grazia con gravi
Fipe: Aperture Bar e ristoranti dal 1 giugno: si rischia il fallimento della ristorazione italiana
Forse non è chiaro che si sta condannando il settore della ristorazione e dell’intrattenimento alla chiusura. Moriranno oltre 50.000 imprese e 350.000 persone perderanno il loro posto di lavoro.
Bar, ristoranti, pizzerie, catering, intrattenimento, per il quale non esiste neanche una data ipotizzata, stabilimenti balneari sono allo stremo e non saranno in grado di non lavorare per più di un mese. Accontentati tutti coloro, che sostenevano di non riaprire, senza per altro avere alcuna certezza di sostegni economici dal Governo.
Servono risorse e servono subito a fondo perduto, senza ulteriori lungaggini o tentennamenti, sappiamo solo quanto dovremo stare ancora chiusi, nulla si sa quando le misure di sostegno verranno messe in atto. Tutto questo a dispetto sia del buon senso che della classificazione di rischio appena effettuata dall’Inail che indica i Pubblici Esercizi come attività a basso rischio. Questo nonostante la categoria abbia messo a punto protocolli specifici per riaprire in sicurezza. La misura è colma.
Federmoda: "Con slittamento riaperture condannano a morte il settore"
“Questa sembra la cronaca di una morte annunciata – afferma il Presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, Renato Borghi. Abbiamo bisogno di ripartire il prima possibile per far fronte alle necessità di cassa di un settore che vive sulla stagionalità. Questo ulteriore slittamento creerà un danno irreparabile: un prevedibile calo di consumi per il 2020 di oltre 15 miliardi di euro che porterà almeno 17mila punti vendita ad arrendersi, con una perdita di occupazione di oltre 35mila persone”.
“Le aziende del settore – prosegue Borghi – hanno effettuato gli acquisti dei prodotti della stagione in corso circa 8 mesi fa e avrebbero dovuto essere messi in vendita a partire dal mese di marzo; ad oggi tutta la merce è ancora imballata in magazzino ed è destinata a rimanere in gran parte invenduta con il prolungamento dell’obbligo di chiusura. Nel frattempo i proprietari immobiliari e i fornitori esigeranno da parte nostra il rispetto delle obbligazioni assunte che non saremo, a causa della mancanza di liquidità, in condizione di onorare come in tempo di normalità. Si prefigura un pericolo per la tenuta della filiera e, da questo punto di vista, sollecitiamo Confindustria Moda ad un’assunzione di responsabilità per condividere con il retail il rischio derivante dalla perdita di un’intera stagione, attraverso il diritto di reso.
"Non comprendiamo questa inaspettata e inspiegabile decisione di rinviare ulteriormente l’apertura di altre tre settimane dei negozi, visto che l’Inail ha classificato il nostro settore a basso rischio e che è già operativo il protocollo del 24 aprile per la riapertura in sicurezza. E neppure comprendiamo perché sia prevista una data uguale per tutte le regioni quando invece sono molto diversi i dati epidemiologici di diffusione". "Serve ripartire il prima possibile – conclude Borghi – non il 18 maggio. Delusi e preoccupati, chiediamo con forza al Governo di ritornare su questa decisione. Ora urgono liquidità vera attraverso contributi a fondo perduto, zero burocrazia e una moratoria fiscale e contributiva al 30 settembre”.
Federmobili: “vogliamo pensare ad una svista”
“Inutile nascondere la delusione totale provata nell’ascoltare le parole del premier e nel leggere il decreto da lui firmato. Non vogliamo mettere in secondo piano la salute della popolazione Italiana, ma non possiamo neppure accettare che venga messa in secondo o terzo piano l’attività economica del Paese”. Così il presidente di Federmobili, Mauro Mamoli, che evidenzia che “ci sono comparti del commercio al dettaglio che possono riaprire il 4 maggio senza ripercussioni sulla salute del personale e dei clienti, il nostro è uno di questi settori. Non si rischiano assembramenti, si possono accogliere i clienti solo su appuntamento in orari e giorni prestabiliti. Si possono fare aperture parziali in spazi con superfici espositive di dimensioni importanti dove il distanziamento sociale può essere garantito e rispettato senza problemi”.
“Vogliamo pensare che il mancato inserimento del Codice Ateco 47.59.10 tra le attività che potranno riiniziare ad operare dal prossimo 4 maggio sia solo una svista alla quale il Governo porrà rimedio con urgenza, anche considerando che il commercio al dettaglio di articoli per l’illuminazione non ha mai subito sospensioni. Il 4 maggio giustamente, e finalmente, riprenderà la produzione dei mobili, le industrie riapriranno per produrre e consegnare a chi? Chiediamo con forza e determinazione che il commercio al dettaglio della distribuzione tradizionale ed indipendente dell’arredamento italiana possa ricominciare a lavorare con la partenza della fase 2 della prossima settimana, esattamente come succederà per il commercio al dettaglio di auto e motocicli che per modalità di vendita, dimensione e contingentamento delle persone e del tutto simile al nostro comparto”.
“Fortunatamente non tutto il DPCM si è dimostrato una delusione e un fallimento. Il nostro mondo non può, e non deve, perdere completamente la visione ottimistica e propositiva che stanno alla base del pensiero di chi fa impresa. Federmobili-Confcommercio Imprese per l’Italia ha chiesto con insistenza, e senza perdersi d’animo, che le consegne riprendessero il prima possibile, quindi ritengo un successo della nostra Federazione – supportata da Confcommercio – l’aver trovato il codice Ateco 43 tra quelli che riprenderanno l’attività all’inizio del mese prossimo. Stiamo verificando che, come da noi richiesto, non siano state definite limitazioni al sottocodice 43.32.02 ‘posa in opera di infissi, arredi, controsoffitti, pareti mobili ed affini’. Vogliamo poter comunicare ai nostri associati notizie certe e verificate per non aumentare ed alimentare la confusione che questi decreti riescono a provocare. In tal senso stiamo procedendo con ulteriori verifiche ad altri codici Ateco, già presenti nell’allegato del documento ministeriale, che potrebbero avere significativi riscontri sui montaggi nelle case dei privati”, conclude.
Federgrossisti: "Piena crisi se non riaprono presto i pubblici esercizi"
Emergenza Covid-19: la “Fase 2”, resa nota con l’ultimo decreto del Governo, ha suscitato enorme sconcerto nella base associativa di Altoga e Federgrossisti che rappresentano i comparti della distribuzione alimentare verso il canale dell’horeca in generale e dei pubblici esercizi in particolare.
L’annunciata riapertura di bar, dei ristoranti, pub, pizzerie, gelaterie al 1° giugno comporta il rischio della chiusura di numerossime piccole-medie aziende che già hanno subito gravi perdite, dal 50% al 90%, per l’inattività dei pubblici esercizi.
“Il settore – spiega Remo Ottolina, presidente di Altoga, l’Associaziona nazionale Confcommercio torrefattori, importatori di caffè, grossisti alimentari - viene intermediato da circa 2.400 distributori specializzati, con oltre 700 aziende della torrefazione di caffè, già fortemente penalizzati nei primi due mesi dell’emergenza epidemiologica. Ma è tutto ciò che ruota attorno al mondo del caffè che rimane paralizzato: i fabbricanti delle macchine professionali, dei macinadosatori, delle stoviglie in genere ecc.; il comparto saccarifero. In un anno vengono servite 10 miliardi di tazzine di caffè che, per l’80%, il consumatore preferisce zuccherare”.
Delle norme, finora emanate, a sostegno delle imprese – lamentano Altoga e Federgrossisti - nemmeno a parlarne. La cassa integrazione? Chi per ora l’ha vista? Le Regioni latitano e l’Inps, di conseguenza, non riesce ad erogare, per cui i dipendenti sono semplicemente disperati. Il “decreto liquidità”? “I tanti messaggi e le telefonate che riceviamo – rileva Francesco Geracitano, presidente di Federgrossisti – testimoniano le difficoltà degli operatori con gli istituti di credito”.
Tutta la filiera – proseguono Altoga e Federgrossisti - sta predisponendo le misure igienico-sanitarie per garantire la sicurezza al 100%, sanificando le strutture aziendali (uffici, magazzini, pertinenze ecc.), predisponendo tutte le misure di prevenzione previste dai decreti presidenziali finora emanati e attenendosi al protocollo di sicurezza sottoscritto dalla Confcommercio con le organizzazioni sindacali dei lavoratori.
“Altrettanto – sottolineano Ottolina e Geracitano - è in grado di fare la nostra clientela primaria dei pubblici esercizi assicurando anche il distanziamento sociale, a tutela del consumatore.
Confida: "Serve una legge nazionale che sospenda i versamenti dei canoni concessori e demaniali causa chiusura delle macchine"
Scuole e università italiane sono ormai chiuse da 2 mesi a seguito dei decreti ministeriali per contrastare l’epidemia da Coronavirus, molte Pubbliche Amministrazioni hanno cessato lo svolgimento dell’attività ordinaria e altre hanno adottato lo smart working. La chiusura di tutti questi luoghi ha comportato come conseguenza lo spegnimento di oltre 150 mila distributori automatici di cibi e bevande ivi installati e le imprese della distribuzione automatica, in prevalenza PMI e che danno lavoro a 33 mila persone, sono in grave difficoltà finanziaria, con una perdita media del 71,5% di fatturato. Nonostante ciò, la maggioranza delle Pubbliche Amministrazioni, tranne qualche raro caso virtuoso, continua a pretendere il pagamento dei canoni concessori e demaniali per le macchine ormai spente da mesi. “Il Codice degli Appalti –spiega Massimo Trapletti, Presidente di Confida– all’art. 165 prevede espressamente che nel caso in cui accadano eventi come l’epidemia di Covid-19, non riconducibili alla volontà del concessionario e che incidono sull’equilibrio economico della concessione, i canoni debbano essere rivisti. Tuttavia –continua Trapletti- la Pubblica Amministrazione si oppone alle richieste delle aziende del settore di sospendere i canoni, ritenendo invece di dover addossare in capo al gestore della distribuzione automatica tutti i rischi e i costi derivanti dall’emergenza epidemiologica.” Confida ha pertanto indirizzato una lettera aperta al Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri richiedendo l’adozione di un provvedimento ministeriale che, a livello nazionale, disponga la sospensione dell’obbligo di versamento dei canoni concessori e demaniali da parte degli operatori del settore del Vending a favore delle Pubbliche Amministrazioni, con decorrenza 15 febbraio 2020 e per tutto il periodo di efficacia delle misure di contenimento dell’emergenza COVID-19. “Un intervento normativo nazionale -conclude il Presidente dell’associazione della distribuzione automatica Trapletti– metterebbe fine ai contenziosi tra operatori del settore e Stazioni Concedenti, evitando il fisiologico intasamento della macchina della giustizia ed il rischio di adozione di decisioni tra loro contrastanti e contraddittorie.”
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