Mentre governo e scienziati stanno definendo in queste ore la fase 2, quella che comincerebbe a dare il via ad una ripresa delle attività sospese, Confcommercio Vicenza traccia un quadro della situazione attuale e guarda come sostenere le imprese a ripartire appena sarà possibile.
Un’elaborazione effettuata dall’Associazione su dati della Camera di Commercio (riferiti ai codici Ateco primari) stima in oltre 20.500 le imprese del Terziario in provincia di Vicenza che potrebbero aver sospeso l’attività a causa delle norme anti contagio: il 56% di tutto il comparto. Tra queste, spiccano interi settori in assoluto lockdown. E’ il caso dei 4.300 tra ristoranti, bar, pasticcerie con l’eccezione di chi si è attivato per sfruttare la possibilità di consegnare a domicilio i propri prodotti. Oppure, guardando al dettaglio, gli 800 negozi di abbigliamento e calzature, i 230 negozi di mobili, i 160 fioristi, gli 80 di casalinghi e così via. L’ipotesi che sta circolando è che per la riapertura dei negozi dopo il 13 aprile, i primi ad essere interessati siano le cartolerie-librerie, che contano in provincia circa 180 attività attualmente chiuse.
Nel complesso, ad oggi, secondo la stima di Confcommercio Vicenza, le serrande sarebbero abbassate per il 46% dei negozi in sede fissa, cui si aggiungono però anche realtà che non hanno il codice Ateco inibito, ma che hanno comunque chiuso per mancanza di clientela. Rimangono attivi i negozi che vendono beni di prima necessità come alimentari, farmacie, tabaccherie, edicole, ottici, ferramenta e altri, nel rispetto delle distanze, con turni per entrare in punto vendita e con l’obbligo di indossare dispositivi di protezione sia per gli operatori a contatto con il pubblico, sia per la clientela.
Sono ferme l’82% delle attività ambulanti. Solo il 25% delle 3.400 aziende del settore ingrosso starebbero continuando l’attività. Fermi i quasi 4mila agenti e rappresentanti di commercio, a meno che non vengano autorizzati dal Prefetto e operino per imprese in attività in base al Decreto Chiudi Italia. E fermi anche gli oltre 600 agenti immobiliari. Chiaramente la possibilità di smart working, ecommerce, consegne a domicilio non risolve i problemi di redditività attuali.
“La maggior parte delle imprese del Terziario ha dovuto sostanzialmente sospendere l’attività da quasi un mese – evidenzia Sergio Rebecca, presidente della Confcommercio di Vicenza – ma resta la necessita di pagare i costi fissi e i fornitori. Per questo serve fin da subito un calendario preciso delle riaperture per i vari settori, oltre che definire una strategia d’azione chiara e condivisa sulle modalità di svolgimento in tutta sicurezza delle attività che riapriranno. Ci saranno imprese che dovranno con tutta probabilità rivedere spazi e modalità di accesso della clientela, primi tra tutti i pubblici esercizi come bar e ristoranti e non solo: devono sapere già ora come intervenire, non si può pensare che vengano informate della possibilità di riprendere l’attività il giorno prima”.
Per poter riaprire le imprese avranno anche bisogno di liquidità, fortemente compromessa dal lungo periodo di chiusura: “Le risorse “messe sul piatto” dal recente decreto a prima vista sembrano molte, ma è chiaro che si parla di prestiti, cioè di soldi che prima o poi dovranno essere restituiti. Avevamo chiesto liquidità subito, a zero burocrazia e nelle modalità più semplici e accessibili: ci sembra che la risposta sia ancora insufficiente, oltre a mancare ancora qualche passaggio sul fronte del via libera di Bruxelles e delle coperture. Non sia mai che alla fine il decantato “bazooka” spari a salve. Di certo, come Associazione siamo attivi per sostenere gli imprenditori nell’accedere e spiegare tutte le possibilità esistenti, così da preparare una base il più possibile solida da cui ripartire”.
Restando sul fronte burocrazia, c’è un altro aspetto che il “decreto liquidità” non ha considerato e che preoccupa le imprese: la scadenza fiscale del 16 aprile (vedi articolo), appena dopo Pasqua, giorno in cui è prevista la liquidazione IVA per i soggetti mensili e vanno eseguiti anche i versamenti Irpef delle ritenute alla fonte e dei contributi INPS in scadenza a marzo. Le proroghe fiscali e contributive introdotte dal decreto non valgono per tutti e non riguardano tutte le scadenze allo stesso modo: serve infatti una comparazione tra i fatturati o i corrispettivi di marzo 2020 – appena concluso - con quelli di marzo 2019, per stabilire, a seconda del giro d’affari dell’azienda, se si ha diritto allo slittamento al 30 giugno 2020. Senza considerare che le imprese già interessate da una precedente proroga, perché appartenenti a settori particolarmente colpiti dall’emergenza Covid19, potrebbero comunque essere costrette a pagare l’Iva mensile in aprile. “Sarebbe stato assolutamente opportuno uno slittamento al 30 settembre di tutti i versamenti, compresi quelli riferiti alle dichiarazioni dei redditi e all’Irap che scadono il 30 giugno, perché i problemi per le imprese non saranno di certo risolti nel giro di poche settimane – conclude il presidente di Confcommercio Vicenza –. Invece, con le proroghe introdotte, ci troviamo ancora una volta a che fare con burocrazia all’ennesima potenza, norme poco chiare e tempi strettissimi tra l’emanazione dei provvedimenti e gli adempimenti richiesti, senza considerare anche il periodo particolare dell’anno in cui ci si trova. Se anche il legislatore ha buone intenzioni, come appunto venire incontro alle imprese con le proroghe – prosegue Sergio Rebecca -, poi vanifica tutto con una burocrazia malsana”.
Come quella, per fare un ultimo esempio, che obbligava le imprese a pagare la marca da bollo per presentare le domande di cassa integrazione da Covid19 per i propri dipendenti: un balzello paradossale, come ha immediatamente segnalato Confcommercio nazionale al Governo, che il Decreto Liquidità ha abolito solo ora. Ma sarebbe stato giusto, invece, non richiederlo fin dall’inizio!
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