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martedì 16 novembre 2021Il termine sostenibilità è sempre più presente nell’ambito economico, sia per definire prodotti che hanno un limitato impatto sull’ambiente, dunque “sostenibili”, sia per indicare politiche aziendali che non guardano solo alla valorizzazione del capitale finanziario, ma anche ai così detti temi ESG, ovvero Environmental (Ambiente), Social (Società), Governance (nei quali rientrano anche i temi della parità di genere nei livelli decisionali, ad esempio).
Pur essendo un termine molto usato, non esistono criteri univoci per indicare quando un prodotto o un’azione sono sostenibili ed è per questo che l’Unione Europea, contestualmente al grande piano green Next Generation UE (i cui fondi vanno a finanziare anche il Pnrr italiano), ha avviato un processo mirato a definire una “tassonomia” della sostenibilità, ovvero delle regole che in prospettiva consentiranno di usare correttamente questo termine. L’obiettivo è evitare i fenomeni di green washing, cioè l’uso improprio mirato solo ad ottenere vantaggi di marketing e senza una sostanziale beneficio per l’ambiente e la società.
Oggi, dunque, se vogliamo orientare le nostre azioni ad uno sviluppo sostenibile, possiamo farlo prima di tutto partendo una scelta di fondo che si basi sul senso di ciò che facciamo, prima che sulle azioni pratiche da mettere in campo. E ciò vale ancor più per il mondo delle imprese, chiamate a migliorare i propri standard di sostenibilità, anche in forza della crescente richiesta dei consumatori.
Dunque qual è la definizione di sviluppo sostenibile alla quale guardare quando vogliamo iniziare questo tipo di percorso? Il riferimento non può che andare a quella che è unanimemente la definizione più conosciuta, che si rifà al Rapporto Brundtland “Our Common Future” redatto nel 1987: “Lo sviluppo sostenibile è quello sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità alle generazioni future di soddisfare i propri”.
Il richiamo alla responsabilità tra generazioni è dunque centrale e non a caso il grande piano green europeo si intitola, come già, accennato Next Generation UE. Una spinta non indifferente, in questo senso, viene anche dal movimento mondiale Fridays for Future della giovane Greta Thumberg, che sta mobilitando le coscienze dei grandi decisori politici, proprio sulla spinta dei pericoli che le future generazioni corrono se non si imporrà un cambio di rotta alla situazione attuale.
Ma di quale situazione stiamo parlando? Prima di tutto quella ambientale, che già vede 4 dei 9 limiti che permettono di preservare la nostra vita sulla terra superati: la perdita di biodiversità, ovvero la scomparsa di un numero elevatissimo di specie viventi; il cambiamento climatico, con il rischio di un innalzamento drammatico della temperatura terrestre; il cambiamento dell’uso del suolo, con la conseguente perdita di fertilità del terreno; il ciclo del fosforo e dell’azoto, il cui cambiamento ha impatti sulla salute umana, sul riscaldamento globale e sull’innalzamento delle temperature.
Questo superamento dei limiti del pianeta deriva principalmente dall’attività umana, tanto che oggi gli studiosi hanno “battezzato” antropocene l’era in cui viviamo: un periodo in cui i mutamenti del nostro pianeta sono causati dall’uomo e non dai fenomeni naturali.
Tale situazione dipende da numerosi fattori, tra i quali l’aumento della popolazione e un sistema economico che opera con l’obiettivo di una crescita infinita in un pianeta dove le risorse sono, invece, finite.
Ma la crisi ambientale non è l’unica emergenza alla quale un atteggiamento sostenibile dovrebbe rispondere e per capire meglio quali sono gli obiettivi che uno sviluppo sostenibile dovrebbe perseguire ci aiutano i 17 SDG’s definiti nel 2015 dall’Onu per contribuire allo sviluppo globale, promuovere il benessere umano e proteggere l’ambiente. Un argomento che affronteremo la prossima puntata della nostra rubrica mensile.
2. continua
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