L’attività umana ed in particolare il sistema economico dei Paesi più ricchi, sta trasformando profondamente il nostro Pianeta, al punto che oggi gli studiosi stanno indicando l’era geologica in cui viviamo con il termine Antropocene, vale a dire un’era in cui l’essere umano ha saputo trasformare e plasmare ogni aspetto della vita terrestre.
I dati, in questo senso sono chiari: l’attività umana consuma, in media ogni anno, risorse per 1,6 volte la capacità di rigenerazione della Terra e i paesi più “sviluppati” sono particolarmente “voraci”, basti pensare, come certifica l’overshoot day, che se nel 2022 tutto il mondo avesse consumato le stesse risorse dell’Italia avremmo esaurito le capacità di rigenerazione del Pianeta il 15 maggio dell’anno scorso.
D’altronde non è difficile immaginarlo: il flusso di materia utilizzato per le attività umane a livello globale è passato da più di 23 miliardi di tonnellate del 1970 a oltre 70 miliardi di tonnellate nel 2010, fino ai 100 miliardi di tonnellate del 2020.
Alla base di questo consumo c’è una disconnessione con il principio basilare di funzionamento della natura, quello eco-sistemico, nel quale cioè il processo è circolare Il sistema produttivo attuale, infatti, funziona in modo lineare, con un processo cioè fatto di estrazione - produzione - distribuzione - consumo - smaltimento.
A questo modello “lineare”, l’economia circolare contrappone invece un sistema di produzione e consumo che si fonda su: condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo dei materiali e dei prodotti esistenti il più a lungo possibile. In sostanza, fare “economia circolare” non significa solo, come comunemente si pensa, recuperare gli scarti trasformandoli in nuova materia prima. Questa è una delle componenti di tale sistema economico, ovvero il riciclo. Invece l’obiettivo principale è quello di produrre meno e di condividere gli stessi oggetti (la sharing economy entra qui in gioco), di dematerializzare laddove possibile (pensiamo alla musica che oramai si ascolta in modo digitale, senza alcun supporto fisico), di riparare, anziché gettare, ciò che si rompe (da qui anche gli interventi della UE contro l’obsolescenza programmata), o di riutilizzare gli oggetti che non ci servono più vendendoli a chi può essere interessato (pensiamo al grande sviluppo di questi ultimi anni dei mercatini dell’usato) oppure trovando altre funzioni utili (pensiamo alla fantasia che spesso si applica a un prodotto semplice come i pallet in legno). E quando proprio non c’è più alcuna possibilità di mantenere integro il prodotto, ecco allora che interviene l’obiettivo di ridurre i rifiuti al minimo. Alla fine del loro ciclo di vita, i materiali di cui il prodotto è composto vengono reintrodotti, laddove possibile, nel ciclo economico. Così si possono continuamente riutilizzare, generando ulteriore valore senza consumare materia prima.
Grazie a misure come prevenzione dei rifiuti, ecodesign e riutilizzo dei materiali, le imprese otterrebbero un risparmio e ridurrebbero nel contempo le emissioni totali annue di gas serra. Al momento, secondo i dati dell’Ue, la produzione dei materiali che utilizziamo ogni giorno è responsabile del 45% delle emissioni di CO2. D’altro canto con l’economia circolare i consumatori potranno avere anche prodotti più durevoli e innovativi, in grado di far risparmiare e migliorare la qualità della vita.
Ovviamente non siamo certo all’anno zero, per quanto riguarda l’economia circolare, ma a livello mondiale i numeri sono ancora abbastanza limitati: secondo l’ultimo Rapporto Nazionale sull’Economia Circolare (del 2022), “recuperiamo meno del 9% del mare di risorse che ogni anno strappiamo alla Terra. L’uso di materiali sta accelerando a una velocità superiore alla crescita della popolazione: stiamo cioè andando – a livello globale – in direzione opposta a quella indicata dal Green Deal”. L’Italia è comunque, su questo fronte, un paese virtuoso, almeno per quanto riguarda uno dei pilastri dell’economia circolare, vale a dire il riciclo. Se confrontiamo l’uso circolare di materia e l’uso complessivo (cioè l’uso proveniente da materie prime vergini e da materie riciclate), nel 2020, ultimo anno disponibile di dati, nell’Unione europea il tasso di utilizzo circolare di materia è stato pari al 12,8%, mentre in Italia il valore ha raggiunto il 21,6%, secondo solamente a quello della Francia (22,2%) e di quasi dieci punti percentuali superiore a quello della Germania (13,4%). La Spagna (11,2%) e la Polonia (9,9%) occupano rispettivamente la quarta e la quinta posizione.
In quest’ambito c’è ovviamente ancora molto da fare, ma è indubbio che si dovrà arrivare ad un punto di equilibrio tra il tasso di consumo delle materie prime e la scarsità delle risorse e che questo si potrà raggiungere “copiando” la circolarità della natura.
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