Un decreto legislativo entrato in vigore nei giorni scorsi rischia di far crescere gli importi della Tari per le famiglie e per molte imprese, soprattutto del commercio, turismo e servizi. La norma - il D.lgs. 116/2020, che dà attuazione a due direttive europee - costringerà infatti i Comuni a variare i regolamenti in materia, ma soprattutto a fare i conti con mancati introiti, spingendo più di qualche amministrazione a recuperare entrate con un aumento delle tariffe. La questione sta tutta nella modifica della definizione di “rifiuto urbano” nel quale ora il decreto fa rientrare sia i rifiuti indifferenziati sia quelli da raccolta differenziata, ad esempio gli imballaggi dei prodotti che vengono posti sugli scaffali dei negozi o degli alimenti usati da bar e ristoranti. Il nuovo provvedimento stabilisce, poi, che le attività che recuperano i rifiuti al di fuori del servizio pubblico (tramite società specializzate) possono essere esentate dal pagamento della Tari, previa esibizione di idonea documentazione che prova l’effettivo smaltimento da parte di terzi.
“Di per sé la norma ha una sua logica – spiega Ernesto Boschiero, direttore di Confcommercio Vicenza -, ma l’applicazione può avere conseguenze significative nel 2021 su cittadini e imprese del terziario come negozi, ristoranti, bar, attività di servizio che applicano la raccolta differenziata, ma si avvalgono, per il loro smaltimento, del servizio pubblico. Infatti – continua Boschiero – ai comuni mancheranno le entrate garantite fin qui, ad esempio, dalle attività manifatturiere, che generalmente si rivolgono ad aziende specializzate per lo smaltimento degli scarti di lavorazione, ma i costi fissi del servizio, a cominciare dal personale addetto, non diminuiranno. Per far quadrare i conti è possibile che molte amministrazioni decidano di “rivalersi” con aumenti sul cittadino e sulle rimanenti utenze non domestiche, che utilizzano il servizio pubblico di smaltimento. Si parla già di possibili incrementi percentuali a “doppia cifra” della Tari per l’anno prossimo, quanto meno del 10%. Sarebbe un ulteriore colpo per tutti e per le attività del terziario in particolare che già stanno vivendo un difficile momento economico”.
Per fare un esempio, l’aumento annuo per una piccola attività di ristorazione di 120 metri quadri e 50 coperti, potrebbe superare, in alcune zone, anche i 200 euro.
Per evitare questo ulteriore aggravio di costi per le imprese, che si sommano alle tante incombenze già esistenti, Confcommercio Vicenza ha inviato una lettera, a firma del presidente Sergio Rebecca e del Direttore Ernesto Boschiero, invitando tutte le amministrazioni locali del Vicentino ad “evitare, ove possibile, aumenti tariffari volti a colpire le utenze non domestiche impossibilitate ad avviare al recupero i rifiuti prodotti”, continuando al contempo a favorire misure a sostegno delle imprese.
Sergio Rebecca, presidente di Confcommercio Vicenza, spiega così le ragioni dell’invito ai Comuni di non intervenire sulla Tari: “La situazione creatasi con l’emergenza Covid-19, lungi dall’essere superata crea ancora uno scenario di grandi incertezze per le aziende, che non hanno recuperato le entrate perse durante il lockdown. Senza contare i tanti cittadini che hanno visto ridursi le proprie entrate economiche per i riflessi della crisi economica innescata dalla pandemia. Pensare in questo momento di aumentare la Tari, che già influisce sui conti familiari e aziendali, ci sembra paradossale. Serve un ripensamento della norma per disinnescare eventuali incrementi tariffari”.
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