mercoledì 14 marzo 2018
Dovremmo forse richiamare alla mente il classico principio della "rana bollita": quando un cambiamento si effettua in maniera sufficientemente lenta sfugge alla coscienza e non suscita - almeno nell'immediato - nessuna reazione e nessuna opposizione. Sembra sia stato questo il caso delle transazioni on-line di beni e servizi effettuate dalle grandi multinazionali dell'e-commerce. Transazioni cresciute nel tempo in maniera esponenziale ma in modo poco eclatante, quasi silenzioso. Un modo questo che ha ritardato di molti anni - almeno in Italia - la percezione del danno economico che viene prodotto da queste multinazionali del "web" ai settori del commercio e dei servizi tradizionali per disparità di trattamento fiscale, sia per maggiori adempimenti amministrativi sia per maggiore imposizione.
I "policy makers" hanno, ora, riconosciuto di non poter più ritardare - considerate anche le cospicue risorse economiche sottratte all'Erario del nostro Paese - la ricerca di soluzioni condivise su come recuperare le mancate entrate sugli utili generati in Italia dalle grandi multinazionali dell'e-commerce, le cui imposte vengono dichiarate e versate in Paesi esteri con regimi fiscali più vantaggiosi del nostro. La percezione del fenomeno ha, inoltre, mosso sia la Magistratura sia l'Agenzia delle Entrate. A fronte degli enormi introiti di colossi internazionali del "web" come "Apple" e "Google" sono stati, infatti, siglati accordi con il Fisco italiano che prevedono il versamento di imposte per quanto dovuto negli anni passati, con il proposito, per il futuro, di attivare procedure di "ruling internazionale" per determinare la percentuale delle imposte da corrispondere in Italia. Stessa sorte spetta alle pendenze fiscali con "Amazon" e "Facebook".
Non possiamo, quindi, che salutare con favore - dopo un percorso legislativo particolarmente tormentato - l'introduzione nel sistema fiscale del nostro Paese della "web tax" - avvenuta, come noto, con l'ultima legge di bilancio - ossia del nuovo prelievo che si applica sul valore delle singole transazioni digitali (nella misura del 3%) a tutte quelle imprese che erogano servizi digitali. Riteniamo, però, che la questione debba essere affrontata - in maniera definitiva - sia a livello europeo che internazionale, in quanto investe il sistema mondiale delle transazioni. Un sistema che ha bisogno di regole certe e di equità anche nel campo dell'imposizione fiscale.
Come Confederazione sulla questione non possiamo sottacere che:
E' necessario, pertanto, salvaguardare il "Sistema Italia" e garantire parità di regole nel fare impresa. E l'introduzione di una effettiva "web tax" potrebbe essere una delle possibili soluzioni a questo annoso e grave problema.
Vincenzo De Luca
Responsabile fiscale "Confcommercio-Imprese per l'Italia"
ATTENZIONE: La notizia è riferita alla data di pubblicazione dell'articolo indicata in alto, sotto il titolo. Le informazioni contenute possono pertanto, nel corso del tempo, subire delle variazioni non riportate in questa pagina, ma in comunicazioni successive o non essere più attuali.