Finalmente la politica italiana comincia a porsi il problema di una regolamentazione della così detta “economia della condivisione” (vale a dire la sharing economy), ma le prime mosse risultano ancora incerte e per certi versi contraddittorie. E’ quanto risulta da una puntuale analisi della Confcommercio nazionale su una proposta di legge al vaglio delle Commissioni riunite Trasporti e Attività Produttive della Camera dei Deputati. Se, infatti, da tempo alcuni settori tradizionali - come appunto l’ospitalità, la ristorazione, i trasporti - devono fare i conti con la concorrenza di alcune piattaforme digitali della così detta “sharing economy” (da Airbnb ai siti di Home Restaurant e così via), dall’altro lato tutti questi nuovi operatori che si affacciano sul mercato sembrano vivere in un “limbo” senza regole, contro i quali è difficile competere e sui quali urge intervenire.
Da qui, dunque, l’esigenza del legislatore di disciplinare tale settore e di sentire, in proposito, il parere delle categorie economiche. In tal senso Confcommercio Imprese per l’Italia ha inviato alle Commissioni riunite una nota che evidenzia con puntualità quali sono i rischi di tale fenomeno, proponendo anche delle modifiche al Disegno di legge in discussione (n. 3564 – “Disciplina delle piattaforme digitali di beni e servizi e disposizioni per la promozione dell’economia della condivisione”).
Prima di tutto Confcommercio evidenzia quanto oramai queste piattaforme web abbiano perso la loro iniziale spinta verso la “condivisione”, “in favore di modelli di mercato in cui vengono offerti prodotti e servizi commerciali (molto spesso al di fuori di ogni regola)”. Un primo essenziale elemento di chiarezza che la normativa, per Confcommercio, deve allora assolutamente introdotte consiste nell’ affermare “il principio secondo cui chi opera nel medesimo mercato, a prescindere dalla circostanza che si tratti di operatore professionale o meno, è tenuto al rispetto della regolamentazione vigente per lo specifico settore di attività svolta”, insomma deve valere il principio “stesso mercato stesse regole”.
Anche perché “i servizi che vengono prestati attraverso lo strumento delle piattaforme digitali – ribadisce Confcommercio – nella maggior parte dei casi rientrano a pieno titolo nell’ambito dei servizi classici, le cui modalità di esecuzione hanno ben poco, se non nulla, di innovativo… se non il semplice fatto che domanda e offerta vengono intermediati attraverso piattaforme web”. Insomma sotto la facciata dell’economia della condivisione sono nati, secondo Confcommercio, “mercati paralleli rispetto a quelli così detti tradizionali, spesso considerati alla stregua di una “zona franca”, sottratta al rispetto di qualunque prescrizione normativa o altro genere di obblighi, a partire da quelli basilari in materia di sicurezza”. Si sono cioè “diffuse a dismisura attività abusive che generano fenomeni illegali di evasione fiscale e contributiva” è la dura denuncia di Confcommercio, che insiste: “Si tratta a ben vedere di vasti settori di economia sommersi, che comportano una diminuzione di entrate per lo Stato, un aumento dei rischi per i consumatori … ed un danno per il lavoro regolare e per la concorrenza”.
Confcommercio porta anche, alle Commissioni, degli esempi chiari di come si sia sviluppato il così detto mercato dell’economia condivisa. Il più eclatante è quello di Airbnb. Scrive Confcommercio: “secondo l’Istat le strutture extralberghiere in Italia sono 117.749 mentre sul solo sito Airbnb sono presenti 177.865 alloggi (nel 2008 erano 46). Sono inoltre stimate in circa 111,4 milioni le presenze nelle abitazioni private, di cui 73,8 milioni sono relative ad alloggi privati non registrati. Il fatturato del sommerso è pari a 2,4 miliardi di euro, che si traducono in 112 milioni di euro di Iva evasa, 57 milioni di euro di imposta di soggiorno non versata, 73mila occupati che potrebbero essere impiegati in regola, di cui 42mila dipendenti che potrebbero essere assunti in regola, per un totale di 763milioni di euro di salari e stipendi che potrebbero essere regolarmente pagati”. E che dire degli home restaurant? L’illusione che sotto questa formula ci sia solo la voglia di alcuni privati di condividere il desco familiare stride con l’offerta di cene presenti in questi portali che, sottolinea Confcommercio “arrivano a costare per l’utente fruitore addirittura fino a 190 euro a persona. Questo rende evidente – continua l’Associazione – il fine di lucro e la professionalità di questi operatori che pertanto…dovranno essere soggetti a tutte le normative del settore come professionisti”.
E questo è esattamente il punto che Confcommercio vuole sia normato con precisione, a cominciare dall’aspetto prioritario della tutela dei consumatori che “manca totalmente all’interno della proposta di legge” in esame. E’ vero che per il diritto europeo la tutela dei consumatori (in merito a sicurezza e qualità del servizio) si applica solo nei rapporti tra un “professionista “ e un “consumatore”, mentre non si applica tra transazioni che coinvolgono solo i consumatori; ma è altrettanto vero che la “Commissione Europea – scrive Confcommercio – indica alcune condizioni necessarie affinché si possa parlare di professionista. In particolare, prende a riferimento la frequenza dei servizi e il fatturato, ma soprattutto la finalità di lucro. In questo caso la Commissione indica esplicitamente che, qualora il compenso per il servizio prestato vada al di là di un semplice rimborso spese, molto probabilmente vi è fine di lucro e si è in presenza di un operatore professionista”.
Il disegno di legge in discussione, poi, secondo Confcommercio va integrato anche sul fronte della tutela della concorrenza, perché a parere della Confederazione l’affermazione di principio contenuta nel DDL e che mira a garantire certezza giuridica e condizioni di concorrenza eque tra gli operatori interessati, “non trova corrispondenza nelle previsioni normative rimanendo in buona sostanza lettera morta”. Da qui, dunque, l’indicazione Confederale di alcune proposte emendative che possano garantire il raggiungimento delle finalità della norma. Infine l’aspetto del regime fiscale, con il disegno di legge che introduce una sostanziale agevolazione per i fatturati fino a 10mila euro provenienti da attività di “sharing economy” e la Confederazione che rilancia, chiedendo che queste attività non abbiamo un regime fiscale ad hoc ma siano semplicemente equiparate, per regole e aliquote, al nuovo regime dei forfetari.
Sarà ora utile capire come procederà la discussione del disegno di legge, ma una cosa è certa: si è aperto un capitolo importante che porterà finalmente ad una regolamentazione del settore e potrà finalmente fare chiarezza sugli obblighi di tanti, troppi, operatori che svolgono attività tradizionali senza preoccuparsi minimamente del rispetto delle minime regole di settore. Oggi forse si sentono in una “zona franca”, domani probabilmente non più.
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