Fino ad un recentissimo passato gli organi di controllo avevano favorito una prassi che escludeva, qualora l’istanza di autorizzazione avvenisse in un momento successivo alla installazione dell’impianto, la sanzione amministrativa, a condizione che le telecamere fossero non solo spente ma VISIBILMENTE NON FUNZIONANTI (ad esempio coperte da sacchetti di plastica).
Purtroppo, dopo la Nota n. 11241 del 1° giugno 2016 della Direzione Generale dell'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro, si è riscontrata una minore tolleranza da parte degli organi ispettivi.
Nello specifico, la nota chiarisce come debba considerarsi illegittima l’installazione di qualsivoglia impianto finalizzato alla videosorveglianza, in assenza di apposito accordo sindacale o di autorizzazione da parte del Ministero del Lavoro.
Si precisa che viene equiparato all’assenza dell’accordo/autorizzazione anche il caso in cui l’azienda si trovi nel periodo intercorrente tra la richiesta e l’esito della stessa.
Al fine di specificare meglio le casistiche che potrebbero presentarsi, la stessa nota sottolinea che il comportamento illegittimo da parte del datore di lavoro deve considerarsi costituito:
In definitiva, tutte le attività di videosorveglianza che siano poste in essere prima, o senza accordo, o autorizzazione risulteranno passibili di ammenda da un minimo di 154 euro a un massimo di 1.549 euro o, in alternativa, con l’arresto da 15 giorni ad un anno, oltre ovviamente l’immediata rimozione degli apparati non autorizzati.
ATTENZIONE: La notizia è riferita alla data di pubblicazione dell'articolo indicata in alto, sotto il titolo. Le informazioni contenute possono pertanto, nel corso del tempo, subire delle variazioni non riportate in questa pagina, ma in comunicazioni successive o non essere più attuali.