Il buono pasto è un documento di legittimazione, anche in forma elettronica, che attribuisce al titolare il diritto ad ottenere il servizio sostitutivo di mensa per un importo pari al valore facciale del buono.
In concreto, il datore di lavoro può acquistare – da una società emettitrice – dei blocchetti di buoni da consegnare ai propri dipendenti (tutti o categorie omogenee) in ragione di uno per ogni giornata di effettiva prestazione lavorativa.
Possono utilizzare i buoni pasto i:
Possono fruire dei buoni anche i dipendenti il cui normale orario di lavoro non preveda una pausa per il pasto ed anche i lavoratori part-time che esercitano la loro prestazione lavorativa solo per mezza giornata.
I buoni godono di esenzione previdenziale e fiscale fino ad un valore facciale di 5,29 euro (7,00 euro nel caso di buoni elettronici). Immaginando di erogare un buono pasto per ciascuna giornata lavorativa (circa 230 in un anno) si arriva ad attribuire al lavoratore un vantaggio di circa milleduecento euro netti senza costi aggiuntivi per l’azienda.
I buoni pasto possono essere spesi in bar, ristoranti ed esercizi commerciali che vendano al dettaglio generi alimentari.
Possono essere spesi cumulativamente fino ad un massimo di 8 buoni giornalieri.
Il Ministero precisa che i tickets:
Ricordiamo che per fruire della detassazione i buoni pasto devono essere rivolti alla generalità dei dipendenti o a categorie omogenee di essi. Come chiarito dall’amministrazione finanziaria nella Circolare 23 dicembre 1997 n. 326/E, e nella Circolare 16 luglio 1998 n. 188/E per categorie omogenee non devono intendersi solo quelle previste dal codice civile (dirigenti, operai, ecc.), ma anche tutti i dipendenti di un certo tipo, ad esempio tutti i lavoratori con una certa qualifica o di un certo livello.
L’interpretazione fornita dall’amministrazione finanziaria è dunque, flessibile, volta ad evitare che vi siano concessioni di benefits ad personam.
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