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RESPONSABILITÀ IN CASO DI CONTAGIO COVID SUL LAVORO

L’INAIL risponde alle preoccupazioni espresse dai datori di lavoro e precisa che il riconoscimento dell’origine professionale del contagio non è in alcun modo correlato con i profili di responsabilità civile e penale del datore di lavoro

martedì 26 maggio 2020

L’INAIL, nella circolare n. 22 del 2020 che fornisce chiarimenti in merito alla tutela infortunistica applicabile ai lavoratori in caso di contagio avvenuto nei luoghi di lavoro, informa che il riconoscimento dell’origine professionale del contagio non è in alcun modo correlato con i profili di responsabilità civile e penale del datore di lavoro.
Tale responsabilità è infatti ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche, che nel caso dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali. Non è quindi responsabile il datore di lavoro che ha adottato ogni misura prevista dai protocolli divulgati per la sicurezza.

Origine professionale del contagio e indennizzabilità dell’evento.
L’INAIL ribadisce che, fatta eccezione per alcune categorie di lavoratori (personale medico-sanitario, personale addetto ad attività di front office) non esiste una presunzione che riconduca l’infezione al luogo di lavoro: la natura del Covid-19, diffuso in ogni luogo, non consente in via generale di presumerne l’origine professionale.
Ma anche quando risultasse che il virus è stato effettivamente contratto in ambito lavorativo e fosse così possibile qualificare l’infezione come infortunio sul lavoro, discenderebbe soltanto l’indennizzabilità dell’evento da parte dell’INAIL medesimo.
Ricordiamo che gli infortuni derivanti da Covid-19 non rilevano ai fini dell’incremento del tasso di premio di assicurazione obbligatoria analogamente a quanto accade per gli infortuni in itinere.

Responsabilità civile e penale del datore di lavoro.
Con riferimento alla responsabilità civile e penale del datore di lavoro, l’INAIL ha precisato che può sussistere soltanto quando sia accertata la sua colpa nel verificarsi dell’infortunio.
Ne consegue così che in concreto occorre che la contrazione da parte del dipendente del Covid-19, non solo sia effettivamente avvenuta in occasione di lavoro, ma sia anche imputabile al datore di lavoro.
In proposito, peraltro, la circolare n. 22 precisa che in ogni caso “il riconoscimento del diritto alle prestazioni da parte dell’Istituto (in favore dell’infortunato) non può assumere rilievo per sostenere l’accusa in sede penale”, tanto meno in sede civile nei confronti del datore di lavoro.
Solo nell’ipotesi in cui sia dimostrata una effettiva responsabilità del datore di lavoro, l’INAIL ha titolo per pretendere il rimborso di quanto erogato al lavoratore infortunato.
Peraltro, il dipendente potrebbe agire per ottenere un ulteriore risarcimento del danno (rispetto a quanto ricevuto dall’INAIL) nei confronti del proprio datore di lavoro. Egli, quindi, in propria difesa, potrà dimostrare di avere attuato quanto possibile per scongiurare l’infortunio (art. 2087 cod. civ.).
Una recente sentenza della Suprema Corte (n. 3282/2020) ha affermato che il datore di lavoro non risponde per responsabilità oggettiva ma solo per “difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore”.
La circolare n. 22 ha così concluso che l’imprenditore non è, in generale e con riferimento all’infezione pandemica in particolare, tenuto ad assicurare “il rischio zero” e pertanto il difetto di diligenza del datore di lavoro deve ritenersi senz’altro esclusa quando egli abbia concretamente adempiuto alle misure di prevenzione, protezione individuale, formazione ed informazione del personale, alla sorveglianza sanitaria speciale nei confronti dei lavoratori di età a rischio o con patologie sensibili, ecc. poste con i noti Protocolli condivisi in tema di sicurezza Covid-19 (del 14 marzo e del 24 aprile 2020).

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