Sulla scia dei recenti fatti di cronaca emersi nelle ultime settimane, che hanno avuto come protagonista una dipendente pubblica sanzionata per aver svolto senza autorizzazione una seconda attività lavorativa presso un datore di lavoro privato, analizziamo la normativa che regola la materia.
Secondo quanto previsto dall’art. 53 del D. Lgs. 165/2001 - norma di riferimento in tema di incompatibilità nel settore pubblico - il dipendente pubblico è tenuto ad osservare il dovere di esclusività, sancito dalla legge, nei confronti della Pubblica Amministrazione.
A differenza di quanto accade nel settore privato, colui che riveste un pubblico impiego è dunque tenuto a svolgere la propria attività lavorativa ad esclusivo vantaggio dell’amministrazione presso la quale è impiegato, nel rispetto dei principi sanciti anzitutto dalla Costituzione (art. 97).
Con particolare riferimento ai dipendenti pubblici assunti a tempo pieno, la legge prevede che essi non possano:
Va precisato che al pubblico dipendente è fatto divieto di ricoprire ruoli di amministrazione e di gestione (in qualità di amministratore, consigliere, sindaco), ma può assumere la qualifica di socio nelle società di capitali, senza necessità di alcuna autorizzazione, e nelle società in accomandita semplice, la posizione di socio accomandante.
Allo scopo di evitare conflitti di interesse tra l’attività del pubblico dipendente ed altri incarichi, il dipendente stesso deve comunicare tempestivamente al responsabile dell’ufficio di appartenenza la propria adesione o appartenenza ad associazioni oppure organizzazioni - ad esclusione dell’adesione a partiti politici o a sindacati - i cui ambiti di interesse possano interferire con lo svolgimento dell’attività dell’ufficio a cui il lavoratore appartiene.
Deroghe al dovere di esclusività
Nel tempo, tuttavia, la disciplina in materia ha visto l’introduzione di alcune deroghe, previste per specifiche categorie di soggetti dipendenti presso la pubblica amministrazione.
In particolare, al personale pubblico con orario di lavoro part time inferiore al 50%, pur con alcune limitazioni (ad esempio per i docenti delle scuole medie superiori, il personale sanitario, i dipendenti degli enti lirici e i dipendenti che svolgono libera professione), è consentito lo svolgimento di attività libero-professionale ed attività di lavoro subordinato o autonomo.
In tali ipotesi, pertanto, il cumulo di rapporto è consentito dalla legge, pur con individuazione da parte delle amministrazioni delle attività non consentite, così da limitare rigorosamente l’esercizio di ulteriori attività lavorative.
La normativa in materia prevede inoltre che ai dipendenti pubblici con orario di lavoro parziale, non superiore al 50%, iscritti ad albi professionali e che esercitino attività professionale, non possono essere conferiti incarichi professionali da parte di Amministrazioni Pubbliche. Gli stessi dipendenti non possono assumere patrocinio in controversie nelle quali sia parte una Pubblica Amministrazione.
La legge prevede, inoltre, che ferma restando la valutazione in concreto dei singoli casi di conflitto di interessi, le amministrazioni provvedano ad indicare le attività che, in ragione dell’interferenza con i compiti istituzionali, sono comunque non consentite.
Per quanto attiene all’esercizio della libera professione sono previsti ulteriori limiti, ovvero:
1) che gli eventuali incarichi professionali non siano conferiti dalle pubbliche amministrazioni;
2) che l’eventuale patrocinio in controversie non coinvolga come parte una pubblica amministrazione.
La libera professione è esercitabile, ad esempio, dal dirigente psicologo, dal medico inquadrato nei ruoli organici del Servizio Sanitario Nazionale, dai docenti universitari e i ricercatori in servizio presso le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura. Anche gli insegnanti possono esercitare la libera professione, previa autorizzazione del direttore didattico o del preside, purché il lavoro autonomo non sia di pregiudizio allo svolgimento delle attività inerenti alla funzione docente e compatibilmente con l’orario d’insegnamento e di servizio.
Per quanto riguarda l’esercizio della professione di avvocato, essa è compatibile con l’insegnamento o la ricerca in materie giuridiche nelle università, nelle scuole secondarie pubbliche e private parificate, nelle istituzioni ed enti di ricerca. Pertanto, la professione di avvocato potrà essere esercitata dall’insegnante di diritto, mentre non la potrà esercitare l’insegnante della scuola primaria, in quanto non sussiste la coerenza tra l’insegnamento e la professione richiesto dalla legge.
Nel tempo sono state inoltre disciplinate le professioni non regolamentate (ovvero quelle attività che non richiedono l’iscrizione ad un albo), definendo la professione non organizzata in ordini o collegi quale attività economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo, con esclusione delle attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell’art. 2229 del Codice Civile, e delle attività e dei mestieri artigianali, commerciali e di pubblico esercizio disciplinati da specifiche normative.
Pertanto, il dirigente di una pubblica amministrazione potrà concedere l’autorizzazione alla libera professione anche in caso di professionisti non iscritti ad albi o ordini, purché sussistano gli ulteriori requisiti richiesti dalla normativa vigente.
Ricapitolando: fatta eccezione per alcuni regimi speciali (ad esempio i docenti, per i quali è prevista la possibilità di esercitare la libera professione) e per il personale con contratto di lavoro part time, con prestazione lavorativa non superiore al 50%, vige il divieto per il dipendente pubblico di svolgere qualsiasi altra attività di lavoro subordinato o autonomo, tranne che la legge o altra fonte normativa ne prevedano l’autorizzazione rilasciata dall’amministrazione di appartenenza e l’autorizzazione sia stata concessa.
La violazione di tale divieto si può configurare come giusta causa di recesso o di decadenza dall’impiego.
Di conseguenza, il dipendente pubblico, anche se a tempo pieno, può svolgere – previa autorizzazione rilasciata dalla propria amministrazione - un’attività secondaria, purché quest’ultima:
a) non confligga con gli interessi dell’amministrazione e con il principio del buon andamento della pubblica amministrazione;
b) consista in un incarico temporaneo ed occasionale;
c) l’impegno lavorativo che ne deriva sia compatibile con l’attività di servizio cui il dipendente è addetto.
In particolare, sono compatibili ma devono essere autorizzati:
– gli incarichi conferiti da altre amministrazioni pubbliche, a condizione che non interferiscano con l’attività principale;
– la partecipazione a società agricole a conduzione familiare quando l’impegno è modesto e di tipo non continuativo;
– l’attività di amministratore di condominio solo per il proprio condominio;
– gli incarichi presso le commissioni tributarie;
– gli incarichi come revisore contabile.
Sono invece considerate attività pienamente compatibili con il pubblico impiego per i dipendenti a tempo pieno o con orario part time superiore al 50%, senza necessità di autorizzazione (in quanto attività consistenti nell’espressione di diritti costituzionalmente riconosciuti in capo a qualsiasi soggetto):
a) la collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili;
b) l’utilizzazione economica da parte dell’autore o inventore di opere dell’ingegno e di invenzioni industriali;
c) la partecipazione a convegni e seminari;
d) gli incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate;
e) gli incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo;
f) gli incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita;
g) l’attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione nonché di docenza e di ricerca scientifica.
Si tratta di attività espressione di diritti costituzionalmente riconosciuti in capo ad ogni soggetto (libertà di pensiero, diritto di critica, tutela delle opere di ingegno, etc.) e, come tali, non assoggettabili ad autorizzazione.
Procedura di autorizzazione all’esercizio di attività compatibili
L’autorizzazione dev’essere richiesta all’amministrazione di appartenenza del dipendente da parte dei soggetti pubblici o privati che intendono conferirgli l’incarico, oppure dal dipendente stesso.
L’amministrazione a cui il lavoratore appartiene deve pronunciarsi entro trenta giorni dalla ricezione dell’istanza. Eventuali richieste di chiarimenti e/o integrazioni indirizzate al dipendente interessato interrompono il decorso del termine di 30 giorni, il quale riprenderà a decorrere a partire dalla data di ricezione delle integrazioni.
A seguito del rilascio dell’autorizzazione, il pubblico dipendente potrà esercitare liberamente l’attività secondaria purché quest’ultima non interferisca con i doveri dell’ufficio a cui è preposto.
Le autorizzazioni rilasciate possono essere sospese o revocate in qualsiasi momento, nel caso in cui vengano meno i presupposti su cui si fonda l’autorizzazione, o in caso di sopravvenuta incompatibilità fra l’incarico svolto e gli interessi dell’amministrazione.
Il rilascio o il diniego dell’autorizzazione allo svolgimento dell’incarico sarà comunicato al dipendente interessato per il tramite degli uffici di appartenenza.
Regime sanzionatorio per mancata autorizzazione
In mancanza dell’autorizzazione, o in violazione della stessa, il pubblico dipendente sarà sottoposto ad un procedimento disciplinare ed è tenuto a versare il compenso per le prestazioni indebitamente svolte nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza. Il mancato versamento degli emolumenti indebitamente percepiti configura un’ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei Conti.
Tenuto conto che l’autorizzazione è finalizzata a verificare in concreto la compatibilità dello specifico incarico con il rapporto di impiego, il dirigente dell’amministrazione di appartenenza del lavoratore dovrà effettuare tutta una serie di verifiche prima di concederla, accertandosi in particolare che non si crei un conflitto di interessi tra l’incarico pubblico e l’attività secondaria per la quale si richiede l’autorizzazione allo svolgimento, tale da pregiudicare l’esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente.
Pertanto, l’autorizzazione non potrà essere rilasciata nel caso in cui l’espletamento dell’attività secondaria integri svolgimento di attività professionale, preclusa al pubblico dipendente a tempo pieno, se svolta con abitualità, sistematicità e continuità ovvero quando l’oggetto dell’incarico evidenzi situazioni, anche potenziali, di conflitto di interesse.
Le autorizzazioni saranno inoltre assoggettate a specifici limiti e condizioni, quali il divieto di svolgere l’incarico extra istituzionale durante l’orario di lavoro e in locali dell’Ufficio, o con l’utilizzo di mezzi di proprietà dell’amministrazione.
Il dirigente preposto al rilascio dell’autorizzazione dovrà anche valutare in concreto se attraverso l’attività secondaria il pubblico dipendente benefici in maniera diretta o indiretta della propria qualifica di dipendente pubblico. Infatti, al pubblico dipendente è vietato usare la propria qualifica lavorativa pubblica per ottenere dei benefici che non avrebbe se non facesse valere la propria posizione.
Le pubbliche amministrazioni che conferiscono o autorizzano incarichi, anche a titolo gratuito, ai propri dipendenti comunicano – entro quindici giorni – in via telematica all’anagrafe delle prestazioni gli incarichi conferiti o autorizzati ai dipendenti stessi, con indicazione dell’oggetto dell’incarico e del compenso lordo, ove previsto. La comunicazione dev’essere effettuata per ciascuno dei propri dipendenti e distintamente per ogni incarico conferito o autorizzato e la trasmissione avviene esclusivamente per via telematica.
L’inosservanza del divieto di svolgere attività per le quali sussiste un divieto assoluto, determina la decadenza dall’impiego, previa diffida volta a far cessare l’incompatibilità. Decorsi quindici giorni dalla data di ricezione della diffida, qualora non venga risolta la situazione di incompatibilità, il dipendente decade automaticamente dall’impiego. Il dipendente viene licenziato per giusta causa.
Nel caso in cui egli ottemperi alla diffida, eliminando la situazione di incompatibilità, può incorrere in sanzioni disciplinari.
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