Informazione ai consumatori ed etichettatura dei prodotti alimentari: lo specifico Regolamento Europeo è entrato in vigore il 12 dicembre 2011, dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, a più di tre anni dalla proposta iniziale formulata dalla Commissione. Il regolamento, in ogni caso, si applicherà per fasi successive soltanto a partire dal 1 gennaio del 2014.
La finalità del provvedimento (la cui materia è attualmente disciplinata dalla direttiva 2000/13/CE, recepita in Italia con il D. Lgs. 181/2003 che ha modificato il D. Lgs. 109/1992) è quella di garantire un elevato livello di tutela della salute dei consumatori e assicurare il loro diritto all’informazione, in modo che possano compiere scelte consapevoli in relazione agli alimenti che consumano, nel rispetto in particolare di considerazioni sanitarie, economiche, ambientali, sociali ed etiche.
Ecco, in estrema sintesi, alcuni dei punti principali del provvedimento:
Requisito di base (art. 6). Qualunque alimento destinato al consumatore finale o alle collettività deve essere accompagnato dalle informazioni previste dal regolamento.
Pratiche leali d’informazione (art. 7). Le informazioni sugli alimenti non devono indurre in errore, in particolare per quanto riguarda le caratteristiche dell’alimento; attribuendo al prodotto alimentare effetti o proprietà che non possiede; suggerendo che l’alimento possiede caratteristiche particolari; suggerendo la presenza di un particolare alimento o ingrediente che in realtà è stato sostituito da uno diverso.
Tali prescrizioni riguardano non solo le etichette, ma anche la pubblicità e la presentazione stessa degli alimenti (ad esempio per tipo e forma dell’imballaggio, contesto in cui vengono esposti, materiale d’imballaggio utilizzato).
Le informazioni sugli alimenti devono essere precise, chiare e facilmente comprensibili per il consumatore (comma 2).
Responsabilità (art. 8). Il regolamento stabilisce che è responsabile delle informazioni sugli alimenti l’operatore con il cui nome o con la cui ragione sociale viene commercializzato il prodotto, o, se tale operatore non è stabilito nel territorio dell’Unione, è responsabile l’importatore.
Tale responsabilità si esplica nell’obbligo di assicurare la presenza e l’esattezza delle informazioni sugli alimenti (comma 2). Più in generale comunque, ciascun operatore del settore alimentare, nell’ambito dell’impresa che controlla, assicura e verifica la conformità degli alimenti ai requisiti previsti dalla normativa, sia comunitaria che nazionale (comma 5).
Di fatto quindi la responsabilità di controllare il rispetto della normativa viene distribuita su tutta la filiera alimentare, per la parte di competenza relativa ad ogni passaggio.
Elenco delle indicazioni obbligatorie (art. 9). La lista delle indicazioni da fornire obbligatoriamente con l’etichetta non si discosta molto da quanto era già previsto dall’art. 3 del D. Lgs. 109 del 1992.
Ci sono due cambiamenti fondamentali rispetto al passato:
a) obbligo di indicare tutti gli ingredienti e i coadiuvanti tecnologici in grado di provocare allergie o intolleranze, utilizzati nella fabbricazione o preparazione dell’alimento, e ancora presenti nel prodotto finito anche se in forma alterata (in questo senso il regolamento, all’allegato II, include una lista puntuale di tutte le “sostanze o prodotti che provocano allergie o intolleranze”).
b) obbligo di fornire una dichiarazione nutrizionale (lettera l). Diventa altresì obbligatorio indicare la quantità di acidi grassi saturi presenti nell’alimento (art. 30, comma 1, lettera b).
L’obbligo di indicare il paese d’origine o il luogo di provenienza è circoscritto (art. 26) alle carni suine, ovine, caprine e al pollame (tale obbligo era già previsto per la carne di manzo). Per gli altri alimenti l’obbligo sussiste soltanto quando l’omissione possa indurre in errore il consumatore in merito al paese o al luogo di provenienza reali dell’alimento.
Dal punto di vista della normativa comunitaria i criteri diventano quindi più stringenti, dato che l’obbligo di indicare la provenienza per i vari tipi di carne è una novità rispetto alla disciplina della direttiva 2000/13/CE. Il regolamento semplifica invece rispetto alla più recente normativa italiana, la legge 3 febbraio 2011, n. 4, che prevede l’obbligo di indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza per tutti gli alimenti, a prescindere dalla possibilità che la mancata indicazione possa indurre in errore i consumatori.
Prodotti decongelati (art. 17).
Il quinto comma dell’articolo, facendo riferimento all’allegato VI del regolamento, prevede che, nel caso di alimenti che sono stati congelati prima della vendita e sono venduti decongelati, la denominazione dell’alimento sia accompagnata dalla dicitura “decongelato”.
Etichettatura degli allergeni (art. 21). È previsto che gli allergeni compaiano nell’elenco degli ingredienti insieme agli altri, ma che la loro presenza venga evidenziata utilizzando un tipo di carattere che li distingua chiaramente: per dimensioni, stile o colore di sfondo (ma la lista è soltanto esemplificativa).
Nel caso in cui manchi una lista degli ingredienti, si dovrà impiegare la dicitura “contiene” seguita dalla denominazione della sostanza.
Quando più ingredienti o coadiuvanti tecnologici provengono da una stessa sostanza allergenica, ciò deve essere precisato nell’etichetta per ciascun ingrediente o coadiuvante.
Alimenti non preimballati (art. 44). Per quanto riguarda gli alimenti offerti in vendita al consumatore senza preimballaggio, oppure che siano imballati sui luoghi di vendita su richiesta del consumatore o preimballati per la vendita diretta, il regolamento sancisce il solo obbligo di fornire le indicazioni relative alla presenza di sostanze che possono provocare allergie o intolleranze. Le modalità, la forma e i mezzi con cui tali informazioni devono essere comunicate ai consumatori sono rimesse alla scelta dei singoli Stati membri.
Si è lungamente discusso di questo aspetto nel corso dell’iter che ha portato al testo definitivo del regolamento. La proposta iniziale della Commissione prevedeva che dovessero essere fornite tutte le indicazioni obbligatorie, a meno che gli Stati non decidessero diversamente.
Sebbene infatti la vendita di alimenti non preimballati e la somministrazione non abbiano per loro natura rilevanza comunitaria, trattandosi per lo più di attività a carattere locale, la Commissione aveva ritenuto che prevedere due discipline differenti per gli alimenti preimballati e per quelli non preimballati avrebbe potuto ingenerare confusione nei consumatori. Poiché buona parte della dieta dei cittadini dell’Unione è costituita da alimenti non preimballati, era parso fondamentale disciplinarli in maniera uniforme a quelli preimballati, allo scopo di orientare i consumatori verso un’alimentazione corretta e consapevole.
L’attività condotta in sede comunitaria è stata volta a evidenziare i rischi impliciti nell’imporre simili adempimenti alle piccole imprese, per le quali i costi connessi alla fornitura e al continuo aggiornamento delle informazioni previste per gli alimenti preimballati sarebbero potuti diventare insostenibili. Se si considera che, a livello europeo, le imprese con meno di 50 dipendenti rappresentano il 99% del settore, diventano subito evidenti le proporzioni del problema.
Si è giunti pertanto alla formulazione attuale, che rappresenta un’inversione rispetto alla proposta iniziale: fornire le altre informazioni non è obbligatorio, tranne quando siano gli Stati membri a stabilirlo.
Sarà dunque necessario monitorare attentamente il processo di “recepimento” di questo delicato aspetto della normativa, nonché le modalità con cui sarà attuato l’obbligo di fornire le informazioni sugli allergeni. Anche questo aspetto presenta infatti profili problematici che, se mal gestiti, potrebbero portare a un aumento dei costi per le imprese oltre che a eccessive quanto inutili complicazioni.
Una specifica procedura di notifica prevede che gli Stati membri comunichino immediatamente alla Commissione il testo delle disposizioni che intendono approvare in merito a questi due aspetti.
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